Ambientalismo e sostenibilità ambientale non sono sempre sinonimi
Si è concluso, domenica 20 settembre, il Filosofia Festival 2015 di Modena. In una Piazza Grande gremita di gente, la dottoressa Vandana Shiva, indiana, ambientalista, scienziata e filosofa, una delle più autorevoli voci mondiali in difesa dell’ecologia, ha tenuto la lezione magistrale conclusiva di questa edizione, dal titolo “Libertà di semina”. Il tema della sostenibilità ambientale è di grande attualità, poiché in grado di realizzare anche altri tipi di sostenibilità altrettanto importanti: quella economica e, soprattutto, quella sociale. Siamo tutti d’accordo, tutti consapevoli che occorre rivedere pesantemente lo sfruttamento delle risorse del pianeta. Basti pensare all’entusiasmo con cui è stata accolta la lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’[1], che attribuisce un ruolo cruciale alla “cura della casa comune”.
La lectio magistralis della dottoressa Vandana Shiva, che da sempre si batte perché l’agricoltura torni a rispettare l’ambiente e la biodiversità, ha riscosso grande successo e scroscianti applausi, eppure dispiace dover constatare che la piazza abbia applaudito a delle falsità. E dispiace anche dover constatare che l’organizzazione del festival a quelle falsità abbia dato uno spazio tanto prestigioso. Dispiace, perché le piazze non hanno bisogno di slogan ma di argomenti e perché si può costruire un buon futuro fatto di sostenibilità e cura dell’ambiente solo con una radicale onestà intellettuale, quella che consente di vedere nella modernità e nelle tecnologie un’opportunità e non sempre e solo un nemico da abbattere.
Ecco in tre punti le falsità sostenute dalla dottoressa Vandana Shiva.
Nella sua lezione magistrale, ha difeso il ritorno all’agricoltura naturale, come unica forma di difesa dai pesticidi che, secondo lei, stanno distruggendo il pianeta e si è riferita ai pesticidi stessi come al principale responsabile dei danni all’ambiente ed alla salute umana, attribuendone l’impiego alle coltivazioni intensive di OGM in agricoltura.
I pesticidi sono tossici. A nessuno verrebbe in mente di sostenere il contrario. Tuttavia, senza i pesticidi in agricoltura, le coltivazioni non sopravvivono; nei paesi in via di sviluppo dove non si fa uso di pesticidi, per mancanza di risorse economiche, le perdite dei raccolti provocano la morte di 12-15 milioni di bambini ogni anno[2]. L’agricoltura biologica, promossa dalla dottoressa Shiva, non è immune da difetti: al di là della minore resa delle coltivazioni, di cui si può leggere in molti studi[3], non bisogna cadere nell’errore di credere che nel biologico non si faccia uso di pesticidi. Non si utilizzano quelli di sintesi, ma quelli naturali sì. Prendiamo il caso del rame, utilizzato con successo per la difesa delle colture, specialmente (ma non solo) nell’agricoltura biologica. Il rame è un metallo pesante che si accumula nel suolo e che, oltre una certa concentrazione, riduce la quantità di sostanza organica presente nel terreno. E infatti è intervenuta l’Unione Europea, che ha regolamentato l’utilizzo del rame in agricoltura biologica nella misura massima di 6 kg all’anno per ettaro, sul presupposto che, al momento non esiste una valida alternativa al rame e che perciò se ne deve contingentare l’uso (si leggano i considerata 7 e 8 del Reg. Ce n. 473/2002[4]). Al momento, quindi, la sola alternativa al rame in agricoltura biologica è la perdita del raccolto. Se parliamo del biologico, parliamo certamente di un sistema più sano di produrre alimenti, che tuttavia non è ad impatto zero sull’ambiente: sia per le maggiori estensioni di cui necessita a parità di resa, sia per la contaminazione del suolo da metalli pesanti, non può essere definito la risposta più etica alla sostenibilità ambientale[5].
Per tornare ai pesticidi, e cioè ai prodotti destinati a distruggere, controllare o prevenire gli organismi nocivi in agricoltura, che si tratti di sostanze chimiche di sintesi o naturali, dobbiamo ammettere che il loro impatto sulla salute umana ed ambientale dipende dall’uso che se ne fa. Il vero problema sono quindi i modelli di agricoltura intensiva ed estensiva, spesso praticati per sostenere i modelli di allevamento intensivo ed estensivo (Farmageddon di Philip Limbery[6]). La vera sostenibilità può nascere da un’analisi dei bisogni alimentari che non sia quella dell’industria alimentare e nemmeno quella degli slogan di piazza, perché non salveremo né il pianeta né i suoi abitanti tornando ad un’agricoltura naturale, come vorrebbe la dottoressa Shiva, fatta di colture tradizionali che da millenni raccontano una storia di carestie, miseria e fame. Non ci può essere progresso tornando indietro.
Perciò la demonizzazione del pesticida in quanto tale è pura demagogia. La dottoressa Shiva ha parlato degli erbicidi che, secondo quanto ha sostenuto, avvelenano il terreno e le falde acquifere, procurando gravi danni alla salute umana. Certo, a nessuno verrebbe in mente di sostenere che gli erbicidi siano sani, però è importante contestualizzare gli argomenti che si sostengono: il glifosate, l’erbicida più utilizzato al mondo, è stato classificato nel marzo 2015 dall’International Agency for Research on Cancer nella lista 2A delle sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo, in cui figurano anche le patatine fritte, la legna che arde nel caminetto di casa e il mate, la bevanda sudamericana tanto amata dal Santo Padre[7]. Questo per dire che, come per le patatine fritte, il caminetto acceso e il mate, la pericolosità sta nella quantità che se ne assume e deve essere valutata analizzando dati quantitativi e non solo qualitativi.
La dottoressa Vandana Shiva ha poi raccontato la storia straziante di oltre 250.000 contadini indiani che si sono suicidati negli ultimi 20 anni a causa del fallimento della coltivazione del cotone GM.
Anche i numeri vanno contestualizzati. Il National Crime Records Bureau pubblica ogni anno, tra gli altri, anche il rapporto sulle morti accidentali ed i suicidi in India[8]. Nell’ultimo si può leggere che nel 2014 i casi di suicidio tra le casalinghe sono stati 24.148, contro i 5.650 tra i contadini. A conti fatti, verrebbe da pensare che in India se la passino peggio le casalinghe dei contadini.
I dati pubblicati dal Bureau indicano che, mentre il numero complessivo dei suicidi in India dal 1995 al 2014 è costantemente aumentato ogni anno del 10-11% circa, i suicidi tra gli agricoltori sono aumentati dal 1995 al 2004, passando da 10.720 al picco massimo di 18.241, per poi diminuire progressivamente anno dopo anno fino al 2014, anno in cui i suicidi tra i contadini indiani sono stati 5.650. Che cosa è avvenuto tra il 2004 ed il 2005 per invertire la tendenza? Premesso che le principali cause di suicidio tra gli agricoltori indiani sono da sempre i debiti, i problemi familiari e, al terzo posto, la perdita del raccolto, va detto che solo nel 2002 il cotone GM è stato introdotto in India, per cui prima di allora i suicidi dei contadini non potevano certo essere imputati a tale coltivazione. Nel 2002 gli agricoltori che coltivavano il cotone erano circa 5 milioni, ma nemmeno l’1% coltivava il cotone GM. Nel 2006 i contadini che coltivavano il cotone GM erano già il 46% di quei 5 milioni. Alla fine dal 2012, gli agricoltori del cotone erano oltre 8 milioni e l’87% produceva il cotone GM[9].
Leggendo i numeri, si comprende che più sono aumentati i contadini che si sono dati al cotone GM, più sono diminuiti i suicidi tra gli agricoltori, in netta controtendenza con il dato generale della nazione, in cui i suicidi continuano ad aumentare ogni anno. Non verrebbe da pensare che il cotone GM in India sia stato un vero toccasana?
Nel 1999 venne pubblicato sulla rivista “Economical and political weekly” un articolo dal titolo Globalisation and threat to seed security[10], in cui si attribuiva il fenomeno epidemico dei suicidi tra gli agricoltori indiani del cotone (facendo pertanto una distinzione tra i suicidi del cotone e quelli delle altre colture che è priva di ogni fondamento documentabile) alla globalizzazione, ponendo la perdita dei raccolti e l’indebitamento dei contadini come l’inevitabile conseguenza della coltivazione intensiva del cotone. L’articolo se la prendeva con la multinazionale che vendeva i semi e i pesticidi, attaccando ora la debolezza dei semi e degli ibridi e il loro costo, ora l’uso eccessivo dei pesticidi, ora ancora l’uso improprio dei pesticidi stessi, ma poi ammetteva che anche le coltivazioni biologiche non ce la facevano. Paventava poi una serie di scenari apocalittici a proposito dell’eventuale introduzione in India del cotone Geneticamente Modificato. Ma di fatto rappresentava molto bene l’arretratezza sociale e culturale della classe agricola indiana, inadeguata a fronteggiare i metodi di coltivazione moderni.
Era il 1999, il cotone GM sarebbe arrivato in India dopo tre anni, gli agricoltori si suicidavano per altri motivi e questo la dottoressa Vandana Shiva lo sapeva bene, perché quell’articolo lo aveva scritto lei, insieme a due coautori.
Allora sarebbe stato onesto raccontare, in Piazza Grande, una storia diversa, quella di un paese immenso e con una popolazione immensa, tradizionalmente agricola e flagellata dalle carestie e dalla povertà diffusa, in cui le condizioni di vita di molti milioni di persone sono migliorate nella seconda metà del secolo scorso, grazie all’introduzione di nuove varietà ibride di piante, selezionate per avere maggiori rese in condizioni avverse che hanno, di fatto condotto l’agricoltura indiana fuori dal Medioevo. Il futuro sostenibile dell’India, come quello del resto del mondo, non può coincidere con il ritorno al passato, ma solo con delle politiche oneste che sappiano trovare il punto di equilibrio tra agricoltura convenzionale, biologica e transgenica. Nel 1970 venne insignito del premio Nobel per la pace, per il suo impegno nella lotta contro la fame nel mondo, il dottor Norman Ernest Borlaug, agronomo ed ambientalista, che aveva scoperto, attraverso i suoi studi sulla selezione e trasformazione genetica delle piante, varietà di coltivazioni in grado di adattarsi e produrre di più in condizioni climatiche avverse[11].
La dottoressa Vandana Shiva ha anche sostenuto che l’aumento dei casi di autismo nell’infanzia sia da porre in correlazione con la maggiore diffusione di OGM.
Il rapporto sull’autismo pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2011[12] riporta i dati relativi a diversi studi condotti a livello internazionale in grado di dimostrare come l’aumento dei casi di autismo non sia reale, in quanto dovuto al fatto che nel corso degli anni si è potuti giungere a diagnosi sempre più precoci dei disturbi dello spettro autistico e che sono stati modificati anche i metodi diagnostici. E’ stato osservato anche che l’aumento delle diagnosi di autismo ha comportato una corrispondente diminuzione delle diagnosi di ritardo mentale[13]. In realtà, un recente studio, attraverso la revisione di numerose ricerche, ha dimostrato come i tassi di incidenza dei disturbi dello spettro autistico a livello globale siano rimasti invariati dal 1990, da quando, cioè, non si faceva ancora uso di OGM in agricoltura[14].
Inoltre, se parliamo di eziopatogenesi, va detto che a tutt’oggi non si conosce quali siano le cause che conducono allo sviluppo di quadri di autismo. La ricerca è orientata prevalentemente a indagare il ruolo di fattori genetici, mentre una minore attenzione è stata posta sui fattori ambientali, e si è focalizzata soprattutto sullo studio del cervello[15].
Niente sugli OGM.
Aver agitato questo spauracchio è stato un vero colpo basso, sia perché agisce su una delle paure più tenaci tra la gente comune, sia perché non ce n’è alcun bisogno per far crescere una responsabile coscienza ambientalista.
A questo punto, dopo aver smascherato la madre di tutte le falsità dette dalla dottoressa Vandana Shiva in Piazza Grande a Modena, ci si può concedere il lusso di speculare anche su quello che non ha detto.
Sul finire degli anni ’90, si scoprì come alterare i geni del riso perché contenessero il beta-carotene, precursore della vitamina A, il cosiddetto golden rice, il riso d’oro, di colore giallo come lo zafferano. Il senso di questa scoperta? Circa 124 milioni di persone, soprattutto bambini, in 118 paesi del terzo mondo soffrono di carenza da vitamina A. Ritardi nella crescita, cecità e morte potrebbero essere risparmiati a milioni di bambini con una sola ciotola al giorno di golden rice. Questo alimento è stato studiato unicamente per motivi umanitari e, infatti, gli scienziati che lo hanno sviluppato hanno donato la loro scoperta ad un ente non-profit, perché fosse chiaro che mai l’idea di un guadagno li aveva sfiorati. Ma il golden rice non riusciva a superare l’ostilità dei critici che esprimevano ed esprimono ancora paure generiche: si teme l’impatto di questa coltura su altre coltivazioni, si teme che possa incoraggiare un’alimentazione basata su un solo alimento, si teme anche che uno dei composti collegati al beta-carotene possa provocare difetti congeniti. Ma la verità è che nessuna di queste obiezioni poggia su basi scientifiche; si limitano a cavalcare delle paure.
Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, non esprime un giudizio generale sugli OGM “dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni”, limitandosi a dire che “i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione”. Infatti approva il golden rice, con una benedizione simbolica di un sacchettino che ne contiene pochi grammi[16].
Ora, dopo anni di ritardi e rinvii, finalmente il golden rice è sul punto di superare tutte le barriere normative, ma chi c’era tra gli oppositori al progetto, ad ostacolarne la realizzazione? Ancora lei, la dottoressa Vandana Shiva[17]. Quindici anni di ritardo e il prezzo pagato in termini di vite umane è altissimo: fino a 500.000 casi all’anno di cecità nei bambini, la metà dei quali muore entro un anno[18].
“La libertà del seme”, per citare il titolo della lezione magistrale della dottoressa Shiva, dovrebbe essere quella di incontrare la terra in un progetto vero di agricoltura sostenibile. Ma se non ci possiamo fidare dell’autorevole voce di un’ambientalista di fama mondiale, di chi dovremo fidarci?
Daria Scarciglia[1]http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html[2] Cooper Jerry, Hans Dobson, University of Greenwich, The benefits of pesticides to mankind and the environment in Crop protection[3]http://www.nature.com/nature/journal/v485/n7397/full/nature11069.html;
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/04/26/lagricoltura-biologica-non-sfamera-il-mondo/; http://www.regione.piemonte.it/agri/area_tecnico_scientifica/sviluppo_agricolo/dwd/2013/fiera/scheda_BIO_DEF.pdf[4] Reg. Ce n. 473/2002 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:32002R0473[5]http://www.economist.com/node/8380592[6]http://www.repubblica.it/ambiente/2015/02/17/news/philip_lymbery_farmageddon-107532569/[7]http://monographs.iarc.fr/ENG/Classification/latest_classif.php[8]http://ncrb.gov.in/index.htm[9] dati del Department of Agriculture, Cooperation and Farmers Welfare http://agricoop.nic.in/welcome.html[10]http://www.ask-force.org/web/Cotton/Shiva-Globalisation-Threat-Seed-Security-1999.pdf[11]http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/1970/borlaug-bio.html[12]http://www.iss.it/binary/publ/cont/undici33web_new.pdf[13] Marissa D. King e Peter S. Bearman, http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3086778/[14]http://journals.cambridge.org/action/displayAbstract?fromPage=online&aid=9495906[15] Istituto Superiore di Sanità, Linee Guida http://www.snlg-iss.it/cms/files/LG_autismo_def.pdf[16]http://www.prometeusmagazine.org/wordpress/2013/11/10/papa-francesco-benedice-il-golden-rice/[17]http://www.gmwatch.org/news/archive/2014/15250-golden-rice-myth-not-miracle[18] dati OMS http://www.who.int/nutrition/topics/vad/en/
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