Il T.A.R. della Lombardia accoglie il ricorso di una veterinaria sospesa e chiede spiegazioni al Ministero della Salute.

Dopo l’ordinanza n. 192/2002 dello scorso 14 febbraio, con cui si sollevava la questione di legittimità costituzionale relativamente alla sospensione dall’esercizio della professione dei sanitari non vaccinati, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia torna sul tema dell’obbligo vaccinale anti Covid-19 per gli esercenti le professioni sanitarie, con l’ordinanza pubblicata ieri, 26 aprile 2022, questa volta nell’ambito specifico della medicina veterinaria.
Nel ricorso, esperito da una professionista, raggiunta dal provvedimento di sospensione, contro il Ministero della Salute e contro l’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Milano, la I Sez. del TAR lombardo ha rilevato che la ratio che sostiene l’obbligo vaccinale previsto per il personale sanitario è quella della tutela della salute dei pazienti, laddove le attività tipiche ed imprescindibili dell’attività sanitaria implicano un contatto diretto con il paziente, e prosegue rilevando altresì che la figura specifica del veterinario destina la propria attività a pazienti animali e non umani, e ben può realizzarsi attraverso modalità che non implicano un contatto diretto con gli uomini.
In pratica, per il giudice amministrativo, l’impianto giuridico riconducibile al DL 44/2021 conv. con L. n. 76/2021 ed al DL 172/2021 conv. con L. n. 3/2022 poggia necessariamente sullo scopo di contenere l’epidemia da SARS-CoV-2; e proprio alla luce di tale scopo, si rende necessario discriminare tra le diverse mansioni svolte dal professionista, e solo per quelle che comportano un rischio di contagio per i più fragili trova fondamento la sospensione dall’esercizio della professione del sanitario non vaccinato, non già come provvedimento punitivo per non aver adempiuto ad un obbligo di legge, bensì come azione finalizzata alla tutela della salute dei pazienti.
Non a caso, con l’ordinanza citata, il T.A.R. della Lombardia ritiene necessario acquisire dal Ministero della Salute documentati chiarimenti in ordine all’esistenza del rischio di trasmissione del virus SARS-CoV-2 dall’uomo all’animale e viceversa, non ravvisando nella relazione tra il medico veterinario ed il proprietario dell’animale paziente e, più genericamente, con la sua clientela, la medesima valutazione del rischio di contagio che si riscontra in medicina umana.
Infatti, il giudice amministrativo indica in 15 giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza, il termine entro cui il ministero sarà tenuto a provvedere, rilevando che i chiarimenti richiesti siano necessari anche ai fini della verifica della compatibilità costituzionale della previsione dell’obbligo vaccinale in capo ai medici veterinari.
Conseguentemente, accoglie, in via cautelare, la domanda della ricorrente e dispone che la sua sospensione sia limitata alle sole prestazioni che implicano un rischio di contagio; limitazione che l’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Milano avrà l’obbligo di trascrivere sull’albo nelle more del prosieguo della trattazione.
Nel recepire questa ordinanza, in molti tiriamo un sospiro di sollievo, per aver potuto leggere quanto andavamo affermando dagli albori della questione, nata esattamente un anno fa, e cioè che l’obbligo vaccinale dovesse essere contestualizzato caso per caso, ritenendo che il diritto al lavoro potesse essere sacrificato solo in nome di una concreta minaccia ad un bene più grande, come il diritto alla vita delle persone fragili, e non in ragione di un’astratta assimilazione tra tutti gli esercenti delle professioni sanitarie.
Quelli di noi, che hanno saputo vedere l’abissale differenza tra il veterinario che visita gli animali di una stalla, che esegue una chirurgia, che svolge una consulenza ambulatoriale ed il personale di un ospedale o di una RSA, non hanno mai avuto dubbi sulla reale portata delle norme disciplinanti l’obbligo vaccinale dei sanitari; solo tanta amarezza nel dover contrastare, talvolta anche nella solitudine delle verità scomode, la pervicace ostinazione di quanti hanno preteso di piegare la legalità fino a spezzarla, di quanti, a fronte di domande precise, non hanno saputo fare altro che richiamare l’interlocutore alle sue responsabilità e, ultimi ma non ultimi, di quanti hanno ostentato la propria mancanza di competenza quasi come un valore.
In fondo, come disse il Petrarca, spesso è in porto che la nave si capovolge.
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